Storie Di Noi N.35

Ho steso muscoli e ossa su un giaciglio di granito, e ho pianto. Sotto di me l’inverno alitava, frenetico. Un gelo accumulato ad altro gelo che svestiva ogni mia difesa.

Iniziai a gareggiare con me stessa, guardandomi in faccia. Grigia dalla rabbia o da chissà quali patologie represse di cui non parlavo. La manìa di sfidarmi, stava diventando un pericolo. Una presenza irrequieta e compulsiva che non ero più in grado di gestire.

Non potevo andare avanti così. Serviva una svolta, una pagina bianca su cui adagiare le mie ultime ossessioni e poterle abbandonare. Un’amica che facesse davvero l’amica o qualcuno di umano, bravo ad ascoltare.

Ma io ero sola. Distratta dai complessi e dagli uragani. Un pulcino stralunato, sommerso dalla pioggia dei continui rompicapi.

Ad un certo punto, dissi basta. Basta al disordine oppresso, alla gioia incostante. Basta alla paranoia che torturava il mio equilibrio. Basta con le trappole e le ragnatele mentali. Basta con le altalene, gli scivoli. E poi basta con quel malcontento. Ero davvero decisa a farlo. Malgrado fossi scissa in due cervelli e infinite personalità. Sconnessa da un pianeta torvo, selvaggio, ma costantemente legata all’ingenua concezione di purezza.

Quella che non ti fa chiedere mai, se non per seria necessità. Che ti sprona ad essere d’esempio a chi di esempi non ne trova. Quella che non offende se non viene offesa, che non sparla su fatti sconosciuti ma resta discreta laddove le curiosità inzigano la buona forma.

Volevo proseguire con questi propositi. Proteggere quei valori senza incattivirli. Rimanere piccola, dentro un corpo che cresceva e si induriva.

Ancora guardandomi, feci alcune promesse: rigare dritto e scostarmi da ogni debolezza. Essere migliore di ieri e l’ultimo anello della catena. Non strisciare, non supplicare ma esigere ciò che mi spetta. E se non accadeva, non dovevo disperare perchè sopra di me, c’era un macchinario immenso capace di portarmelo lo stesso.

Coesa a questa fede, sono riemersa dalla pazzia e ho ricominciato a respirare. Ho coperto l’impronta del mio passaggio imbranato, presa dal menefreghismo e dalla voglia di libertà.

Sì, volevo sentirmi libera.

Mentre ricalibravo tutto, sentii qualcosa tirarmi giù. Un potere astratto, indescrivibile che non sopportava la mia risalita. Con quella specie, lottai svariate volte in passato. Era una entità il cui nome non aveva un nome ma solo violenza, schiavitù e dolore. Un male che mi voleva lì, a tappargli buchi e cavità. A strangolare la mia vita per ingrandire il suo agire. Amava vedermi fallire e se fossi ricaduta, sarei diventata ancora sua.

Oggi però è tutto diverso.

Oggi non temo la sua sagoma nè la sua minaccia.

Oggi se cado, è per altri motivi. Non per gli abissi che mi pedinano, ma per l’accettazione di essere imperfetta e un po’ pagliaccia.

Oggi se cado è solo per scelta. Un binario che traccio, per addolcire la mia depressione. Ci passo attraverso, la penetro e poi torno indietro. È la mia simbiosi. Una faccia mansueta, con cui parlo senza dovermi pentire.

È una bellezza inguaribile, che in precedenza mi faceva scottare la fronte o addirittura vergognare. Ma ora la accolgo intenerita, come fosse una perfezione mancata che fa sbocciare in me qualcosa di complesso e stupefacente.

Storie Di Noi by Luce Argentea

2 risposte a "Storie Di Noi N.35"

  1. Dalla prima fino all’ultima lettera hai scosso le miei memorie inebriandole di timida luce e nostalgiche armature.. Se potrei ti regalerei un fiore, intanto ti dico grazie 🙂

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    1. Sono io che ti dico grazie, per queste stupende parole. Sapere che in qualche modo ti ho aiutato mi commuove. E non poco. In fondo il mio blog si fonda proprio su questo. Fare riflettere, descrivere il dolore altrui e lasciarlo scorrere, attraverso una consapevolezza maggiore. Ti abbraccio e grazie ancora. 😊😊

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